Alcuni di essi non sono figli di lente trasformazioni morfosintattiche o di prestiti linguistici che si diffondono passando di bocca in bocca (o di tweet in tweet), ma hanno una precisa data di nascita e un genitore famoso. Si tratta delle cosiddette “parole d’autore” (secondo un’espressione coniata dal linguista Bruno Migliorini nel 1975), termini inventati da scrittori, filosofi, ecc. di cui si può rintracciare esattamente, o quasi, il momento della creazione e la cui diffusione è dovuta all’autorevolezza (o alla celebrità) del loro genitore.
Tralasciando i remoti neologismi danteschi e leopardiani, sorvolando sulla mole di anglicismi a cui tentiamo stoicamente di stare dietro e omettendo volontariamente tutti i neologismi creati dalla tv commerciale italiana degli ultimi trent’anni (le varie veline, letterine, letteronze, gli stacchetti e i tapiri attapirati), ecco cinque semplici parole create nel Novecento, non solo quando non esisteva Netflix, ma addirittura quando lo schermo era in bianco e nero.
Se pensate che l’etimologia di paparazzo derivi da qualche figura di ficcanaso di memoria plautina, siete sulla strada sbagliata. Il termine fu inventato da Federico Fellini, che diede questo nome al personaggio di un fotografo a caccia di star ne La Dolce Vita.
Da allora il termine ha avuto una straordinaria fortuna, incappando anche in poco felici declinazioni cinematografiche, musicali e televisive.
Sempre negli anni del boom economico e della grande stagione della commedia all’italiana, nasce il termine maggiorata, pronunciato per la prima volta nel film Altri tempi – Zibaldone n.1 da Vittorio De Sica per designare il personaggio di Gina Lollobrigida, imputata con l’accusa di omicidio. De Sica, avvocato difensore della donna, definisce la sua assistita una “maggiorata fisica” (in contrapposizione al termine “minorata psichica”). Insomma, quella che oggi definiremmo una curvy.
Ben prima dei pullover di cachemire di Bertinotti, già esisteva il termine radical chic, che indica quella parte dell’alta borghesia che si vuole distinguere per idee progressiste e per una (almeno supposta) appartenenza alla sinistra più radicale. Il termine venne coniato nel 1970 dallo scrittore e giornalista Tom Wolfe, a seguito di un ricevimento di gala a Park Avenue organizzato dalla moglie di Bernard Bernstein per raccogliere fondi per le Pantere Nere. In Italia fu introdotto da Indro Montanelli, in un articolo (in parte riportato qui) rivolto alla giornalista Camilla Cederna, che aveva preso a cuore la questione della morte dell’anarchico Pinelli, legata alla strage di Piazza Fontana.
Gianni Brera, oltre a essere uno dei più grandi giornalisti sportivi del Novecento, fu anche un grande onomaturgo, cioè un creatore di neologismi. È suo il termine goleador, inventato sulla falsa riga di toreador. Non solo, introdusse molte parole derivate da altri contesti nel linguaggio calcistico, creando nuovi significati e modi di dire usati ancor oggi, come uccellare, melina, contropiede, centrocampista ed Eupalla, la musa che presiede alle arti calcistiche.
Molto prima di Brera fu invece inventata la parola scudetto (nonché l’oggetto in sé), da un altro celeberrimo onomaturgo come D’Annunzio. Il triangolo con il tricolore fu applicato per la prima volta a Fiume, nel 1920, alle divise della squadra formata da militari italiani occupanti, che dovevano giocare contro una squadra locale. D’Annunzio inventò, tra gli altri, anche i termini velivolo, tramezzino (per evitare l’anglicismo sandwich), vigili del fuoco (per evitare il termine pompieri, vicino all’analogo lemma francese), nonché i nomi di marchi quali La Rinascente e SAIWA. Inoltre, se oggi non abbiamo dubbi sull’attribuzione di genere all’automobile (come accade per altri termini), lo dobbiamo a D’Annunzio, che decretò che l’automobile fosse femminile e non maschile e ci permise di distinguere il ritmo dalla Ritmo, il panda dalla Panda, il punto dalla Punto.