SEO (e Aranzulla) sta freddando l’italiano?

Quanti si sono imbattuti in un articolo di Aranzulla e quanti l’hanno effettivamente letto fino in fondo? La prima cosa è capitata praticamente a qualunque italiano dotato di una connessione Internet, sulla seconda non ci scommetterei neanche i centesimini fastidiosi che ti rifila la cassiera del supermercato.cassiera-ted

Aranzulla è proprio quello del sito a cui tutti abbiamo dato un’occhiata almeno una volta negli ultimi anni; di recente si è molto parlato di lui e dell’oscuramento da parte di Wikipedia della sua pagina. Al di là (e non aldilà) di queste scaramucce telematiche, però, si pone un’altra questione, che riguarda l’uso dell’italiano fatto dal blogger, il quale ha spinto agli estremi le strategie legate all’ottimizzazione delle pagine web per i motori di ricerca.

Per chi non lo sapesse, il SEO (o la SEO? L’acronimo sta per Search Engine Optimization, quindi molti usano il femminile di ottimizzazione) è una sorta di galateo per entrare nelle grazie di Google, un insieme di regole, più o meno fisse, per far sì che il motore di ricerca trovi più facilmente il sito e lo metta tra i primi risultati. Tra le buone norme che si devono seguire c’è la keyword density: per ogni articolo la parola chiave rappresenta il soggetto di cui si parla e che Google deve riconoscere per poterlo “aspirare” nel caso in cui un utente stia cercando quel contenuto. Se si scrive un articolo su come “piantare i girasoli” bisognerà ripetere un tot di volte, in maniera non troppo esagerata (perché il troppo stroppia e Google se ne accorge e poi si incazza), il sintagma “piantare i girasoli”.

Se a scuola ci insegnano che occorre evitare le ripetizioni in un testo e gli insegnanti si spaccano la testa per farci capire che esistono i sinonimi, Google ci impone di ripetere, ripetere, ripetere… Sulla keyword density ci sono diverse teorie e in molti ritengono che sia inutile, oltre che dannoso, ammorbare l’utente con la ripetizione ossessiva delle stesse parole, che il più delle volte rende il testo meccanico e artificioso. Una caratteristica di Aranzulla (oltre a quella di usare il tu al posto del più comune voi come interlocutore) è proprio quella di esasperare chi legge con la ripetizione costante della keyword dell’articolo e di quelle che si vogliono “spingere” perché rappresentative dell’intero sito o, ancora, perché più cercate dagli utenti di Google, con un dosaggio sapiente di link, grassetti e immagini, come analizzato da questo interessante articolo.

Il blogger, quindi, non ha tanto la colpa di aver creato un sito in cui la maggior parte degli articoli offre soluzioni superficiali per problemi banali, quanto quella di aver messo a disposizione di milioni di persone un modello di italiano in cui il dizionario dei sinonimi e dei contrari può essere usato solo per esercitare la postura corretta. proper-posture-balancing-book

Un altro dramma generato da SEO riguarda il bando imposto alle metafore: dato che i motori di ricerca traducono in automatico il contenuto dell’articolo, metafore e altre figure retoriche possono generare confusione, quindi sarebbe meglio utilizzare un linguaggio il più denotativo possibile.

Queste indicazioni riguardano soprattutto i cosiddetti “contenuti freddi”, quelli che cioè gli utenti cercano in maniera costante durante l’anno (ad esempio “ricetta della pasta alla Norma” o “quale antivirus installare”), al contrario dei “contenuti caldi”, legati maggiormente all’attualità e al giornalismo, il regno delle metafore (più che usate e abusate, consunte, usurate, sbrindellate, in un ping-pong inumano tra Studio Aperto, Il Messaggero e le luci intermittenti dello studio di Mentana).

Il SEOese (e l’Aranzullese, che quasi ricorda – ponendosi agli antipodi – il marzullese) copre quindi una porzione non troppo ingente delle parole che ci circondano e grazie al cielo, la maggior parte della produzione scritta di quell’animale tanto social(e) quanto poetico che è l’uomo non deve (ancora) sottostare ai dettami di Mountain View.

trucco-anni-80-madonnaNegli ultimi tempi, inoltre, si è aperto un dibattito su SEO sì/SEO no: alcuni continuano a sostenere le ragioni del perverso acronimo, altri sottolineano quanto Google stia cercando di premiare le pagine che offrono contenuti effettivamente validi (attraverso algoritmi che rasentano l’umano comprendonio) a scapito delle scatole vuote, che neanche i lettori apprezzano più e, forse, mai hanno apprezzato.
Non è il caso quindi di prefigurarsi un futuro in cui il verbale dei carabinieri rappresenti la più alta forma di testo letterario. E poi, anche se il sinonimo e la metafora dovessero sparire, è sempre concesso sperare che possano tornare in voga, così come è accaduto alle folte sopracciglia degli anni ’80.

Pubblicato da Carmela Giglio

Cacciatrice di sinonimi, scalatrice di costrutti sintattici, esploratrice di ambiguità semantiche, con un'improvvida attrazione per tutto ciò che è visuale e visionario.