Si tratta di un caso particolare, per cui esiste una regola generale, che non sempre è facile applicare, perché comporta un ampio margine di discrezionalità in chi parla o scrive. La regola vuole che i prestiti entrati pienamente nella lingua d’arrivo rimangano invariati e che (nel caso, più frequente, di parole francesi e soprattutto inglesi) non si metta la –s finale.
Quindi parole come croissant, foulard, fan, film, hamburger, file, mouse (che al plurale farebbe mice! Voglio vedervi a dire Ho comprato due mice…) non vogliono il plurale, mentre – in teoria – parole non ancora “adottate” pienamente dalla nostra lingua, termini specialistici o lemmi per cui non esistono dei corrispettivi italiani plausibili si possono volgere al plurale.
Il problema però è che ormai tutti i termini che entrano nella nostra lingua, in particolare quelli dall’inglese, vengono automaticamente fagocitati dal linguaggio quotidiano e non è facile stabilire quando una parola ha fatto il suo ingresso ufficiale nell’uso comune, soprattutto perché bisogna stabilire quale sia quest’uso comune. Quello dei cosiddetti Millennials (termine che, tra l’altro, è subito entrato nell’uso al plurale) o quello dei loro genitori? Anche nel caso dei Millennials, vi sono poi delle distinzioni da fare: alcuni si limitano a usare WhatsApp e Facebook e altri hanno aperto una start up che ha sviluppato un’app per mobile che invia un alert ogni volta che individua un possibile buyer sul proprio sito di e-commerce, ecc.
Quindi il forestierismo in un caso suonerà ancora “esotico”, nell’altro equivarrà a parole come mortadella o portapenne. La regola aurea dell’uso comune, dunque, è molto pericolosa e rischia di farvi fissare la s sulla tastiera per ore, bloccando ogni vostra attività collaterale. Anche Luca Serianni, nume tutelare di tutti coloro che si pongono dei dubbi sull’uso dell’italiano, invita a estendere la pratica di mantenere invariati tutti i forestierismi, evidenziando magari, con le virgolette o il corsivo, termini specialistici o da poco entrati nella nostra lingua (Italiano, Garzanti, Milano 2000, p. 106).
Quindi, meglio non usare mai il plurale delle parole straniere: state certi che anche i termini che ora vi sembrano più lontani tra pochi giorni saranno sulla bocca (e sugli schermi) di tutti.