Le misure contano: dalle cartelle editoriali alle stop words di SEO

Un tempo (non troppo lontano), per misurare un testo esisteva solo un’unità di misura: la cartella, corrispondente a 1800 battute, cioè caratteri, spazi inclusi. L’atomo del testo era la battuta e ogni produzione scritta era basata su questo ultra-democratico sistema di misura, per cui uno (spazio) vale uno (carattere), realmente.
Insomma, in termini di spazio, scrivere “Donald Trump è stato eletto per davvero” equivale a scrivere “Il pompelmo ha proprietà antibatteriche”. Sono entrambe frasi di 39 caratteri e se ne ripetiamo una per 50 volte avremo poco più di una cartella, 1950 caratteri.

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Ma per SEO queste due frasi hanno la stessa misura? Sappiamo che, a meno che non si tratti di un editorialista di Repubblica, quasi chiunque scriva sul Web deve sottostare ai dettami di questa capricciosa divinità, che – come già detto – potrebbe rinsecchire i sinonimi e le metafore nei testi circolanti su Internet.
Non solo, SEO ci pone di fronte a un nuovo sistema di misura del testo: le parole. Quando all’università il nostro professore, o chi per esso, spiegava cos’era una cartella con la connessa lezioncina su Word (Selezionate il testo, andate suStrumenti > Conteggio Parole > Spazi caratteri inclusi”…) c’era sempre l’ingenuotto di turno che si lasciava sfuggire un “1800 parole?”. Da lì partiva un coro di “Noooo…” con sopracciglia alzate dei compagni, che finalmente potevano millantare la propria superiorità sul povero fesso.
Bene, SEO regala proprio a quel fesso una meravigliosa rivincita e gli dice: “Conta il tuo testo in parole e – finalmente – fottitene degli spazi!”.

Secondo le norme SEO, un testo, per essere individuato e preso in considerazione dai motori di ricerca (anzi, dal motore di ricerca, Google), deve essere lungo almeno 300 parole, cioè – udite, udite! – circa 1800 battute. I più raffinati staranno esclamando: WTF! Perché allora non contare tutto in battute e dire che un testo sul Web deve misurare almeno una cartella?
Probabilmente, la motivazione principale è data dalla consuetudine del giornalismo anglosassone di misurare i testi dattiloscritti in parole e non in battute. Ciò potrebbe bastare a svelare il piccolo mistero, ma Google ci aggiunge del suo: non solo non contano né gli spazi né i segni di punteggiatura, ma alcune parole sono ritenute semplicemente inutili.

Google, infatti, considera alcune parole ininfluenti nella valutazione di un testo e nello stabilire quale sia la “qualità” dei suoi contenuti: si tratta delle stop words.
Le stop words sono le parole più ricorrenti di una lingua che – sempre secondo le finalità degli algoritmi di Google – non rendono significativo un testo: non solo articoli, preposizioni, congiunzioni, avverbi, ma anche aggettivi possessivi, dimostrativi, numerali, indefiniti e verbi ausiliari.
Tornando alle frasi di prima, quindi, “Donald Trump è stato eletto per davvero” ha sette parole ma ben quattro stop words (quelle sottolineate), mentre “Il pompelmo ha proprietà antibatteriche” è formata da cinque parole ma presenta solo due stop words. Quindi la seconda è più pregnante della prima.

size-mattersVisto che gli algoritmi di Google vengono aggiornati continuamente, non esiste una lista ufficiale e definitiva delle stop words italiane. Per farsi un’idea di quanto possano contare le stop words, sappiate che Melascrivi, uno dei più noti Content Marketplace (cioè le piattaforme che mettono in connessione Web Writer e committenti), retribuisce i suoi autori un tot (da 0,8 a 1,5 centesimi) a parola, escludendo quelle che considera stop words: scorrendo quest’elenco risulta chiaro che per farsi pagare 300 parole se ne dovranno scrivere almeno il doppio
Il caso di Melascrivi è piuttosto isolato, benché le aberrazioni retributive legate alla scrittura per il Web siano molto frequenti. È chiaro, comunque, come queste parole di serie B rappresentino un’inquietante evoluzione del lavoro a cottimo, ormai prassi consolidata nella scrittura per il Web, ma già collaudata dall’editoria tradizionale.

Non solo, esistono plugin di WordPress che individuano (al momento solo per la lingua inglese) le stop words negli articoli, facendo sì che si possano sfoltire, rendendo un testo più “efficiente”. Naturalmente, non è possibile scrivere un testo privo di stop words, anzi, gli esperti di SEO spiegano che la naturalezza del testo deve rimanere intatta perché Google si accorge di questi trucchetti da Mago Otelma 2.0.
E poi, insomma, ricordiamoci che il destinatario primo di un testo (che sia la recensione di un film o la scheda di un robot da cucina) è il lettore, un essere umano che quando legge “Il pompelmo ha proprietà antibatteriche” si incuriosisce e quando legge “Donald Trump è stato eletto per davvero” impallidisce (oppure esulta). It’s up to you.

Pubblicato da Carmela Giglio

Cacciatrice di sinonimi, scalatrice di costrutti sintattici, esploratrice di ambiguità semantiche, con un'improvvida attrazione per tutto ciò che è visuale e visionario.