Con la post-truth si fanno i governi, non le mozzarelle

Prima della post-truth c’erano le hoax, da noi, più bucolicamente, chiamate bufale.
Le bufale, cioè le storie false diffuse – in maniera più o meno strumentale – dai mezzi di comunicazione e circolanti presso l’opinione pubblica, sono vecchie come il mondo, dalla Donazione di Costantino ai Minions ispirati ai bambini nei campi di concentramento.

post-truthGli scopi con cui è diffusa una bufala sono molteplici: alcune sono create con spirito goliardico, nella maggior parte dei casi mirano invece a indignare, allarmare e indirizzare moti di rabbia comune verso nemici ben precisi, come gli immigrati, la classe politica, le cosiddette lobby e tutte le istituzione in genere, da quelle sanitarie a quelle religiose. Inutile dire che l’avvento del Web ha aperto le cateratte alla credulità popolare, sommergendoci di notizie assurde a cui la maggior parte di noi crede fideisticamente, dispensando, in maniera quasi liturgica, like, condivisioni e commenti corredati da emoji tristi o indignate.

L’universo delle bufale si configura quindi sempre più come una dimensione paragiornalistica, in cui i debunker, cioè i professionisti che scovano e demoliscono le bufale (in particolare quelle scientifiche), si scontrano con i creatori seriali di hoax (come l’italiano Ermes Maiolica, divenuto ormai celebre).

Negli ultimi mesi, però, si è scoperto che il “popolo bue” non solo è in grado di mettere like e condividere post su Facebook, ma – pensa un po’ – va anche a votare. La Brexit prima e Trump poi hanno fatto capire a tutti, in maniera piuttosto brutale, che la gente non vota di pancia, ma con il dito indice, quello con cui clicca, mette cuoricini e regala stellette con lo stesso entusiasmo ebete di Bryce Dallas Howard in Black Mirror.post-truth

Ecco che si parla quindi non più di bufala, di hoax, ma di post-truth, termine che è stato da poco dichiarato parola del 2016 dall’Oxford Dictionary.
Il lemma, sebbene in uso da almeno un paio di decenni, è diventato spaventosamente efficace nel descrivere le clamorose vicende politiche dell’anno che sta terminando, durante il quale l’antico fenomeno della “boiata a cui tutti credono” si è ammantato di un’aura inquietante e si è tramutato in post-verità. Ma cos’è la post-verità?
Sostanzialmente, è la non-verità che viene però assunta come verità a tutti gli effetti dall’opinione pubblica. Insomma, una bufala? Eh, no.
La post-truth investe in maniera complessiva il modo di gestire una campagna di comunicazione, in particolare una campagna elettorale. Si può dire che la post-verità è formata da un milione di bufale che, in maniera pervasiva, infestano il dibattito comune fino a prevalere sulla realtà oggettiva delle cose.
Inoltre, la bufala è diffusa quasi sempre anonimamente (anche quando supportata nell’ombra da gruppi politici precisi), mentre la post-truth è la cifra stilistica ufficiale di un movimento politico o di opinione.

Al di là della Manica e dell’Atlantico, abbiamo assistito alle bizzarre ma vincenti campagne di Farage e Trump, caratterizzate da una mole di dati gonfiati o fasulli (come i 350 milioni di sterline che si sarebbero potuti risparmiare grazie alla vittoria del “Leave”, cioè dei separatisti) e di panzane urlate dallo scranno elettorale (come le migliaia di persone “viste” da Trump festeggiare nel New Jersey dopo la caduta delle Torri Gemelle).
Allo stesso modo, in Italia, la storia degli immigrati negli hotel di lusso non è una notizia vagante su Internet a cui la base leghista dà credito, ma uno dei pilastri su cui si fonda la campagna di comunicazione che ha permesso la rinascita della Lega salviniana.jun19-postmodern-genius-450

Passare dalla bufala alla post-truth quindi non è solo una questione di nomenclatura o di lacunosi prefissi. Per decenni ci siamo chiesti cosa fosse di preciso il postmoderno e, a più riprese (soprattutto dall’11 settembre in poi), ci siamo detti che era finito, senza avere ancora una risposta definitiva in merito.

Ora fa capolino la post-truth, che non riguarda la letteratura, l’arte, l’architettura, il cinema, ma – più pericolosamente – la politica e la natura stessa della democrazia, o della post-democrazia, che (come auspicato in fondo dai grillini di tutte le latitudini) si fa e si disfa sul Web: prima ti eleggo grazie a Twitter, poi ti disconosco con change.org.
La post-verità ti fa male, lo so.

Pubblicato da Carmela Giglio

Cacciatrice di sinonimi, scalatrice di costrutti sintattici, esploratrice di ambiguità semantiche, con un'improvvida attrazione per tutto ciò che è visuale e visionario.