10 (insospettabili) parole italiane che derivano dall’arabo

Lo sanno bene i siciliani e lo sanno ancor meglio gli spagnoli: la dominazione araba del Mediterraneo (tra IX e XI secolo in Sicilia, mentre in Spagna dall’VIII secolo fino al termine della Reconquista, nel 1492) ha lasciato una traccia importante. A testimoniarlo, una miriade di parole spagnole, ma anche moltissimi lemmi della nostra lingua, che danno l’idea di quale contributo abbia avuto questa cultura nello sviluppo di quella occidentale.lawrence-d-arabia

Alcuni di questi termini fanno subito pensare alla loro origine orientale, spesso segnalata dal prefisso al, come alambicco (al-anbiq), algebra (al-jabr), alchimia (al-kimia). Alcuni nomi, come elisir (eliksir) o scirocco (suluq), richiamano immediatamente alla mente paesaggi orientali. Inoltre, è noto che l’introduzione dello zero (sifr, da cui deriva il termine “cifra”) sia dovuto a questo popolo, che ha diffuso altre innovazioni, anche in campo astronomico (infatti molti termini astronomici, come azimut, zenit e nadir, sono di origine araba). Senza parlare dei moltissimi alimenti che sono arrivati sulle nostre tavole trasportati dalle carovane (carwan) del deserto, come caffè (kahvè), limoni (limun), zucchero (sukkar), carciofi (harsuf), zafferano (za’faran), albicocche (alburquq), arance (naranj, di origine persiana, ma anche l’arabo burtuqal, di cui rimane traccia in molti dei nostri dialetti)…

In altri casi, però, la derivazione araba appare meno prevedibile, con degli esempi davvero sorprendenti. Eccone qualcuno.

1. Azzurro
“Il pomeriggio è troppo azzurro” anche grazie al persiano lazward, passato poi all’arabo con lazurd, come adattamento popolare del sanscrito ravajarta (lapislazzuli) e infine alla nostra lingua. Altri colori hanno origine arabo-persiana, come scarlatto (saqirlat), cremisi (qirmiz) e lilla (lilak).

2. Bizzeffe
Quando diciamo “a bizzeffe”, ricordiamo il termine arabo-magrebino bizzaf, che vuol dire “in abbondanza, molto”.

3. Buttero
Se il nome del mandriano maremmano deriva dal greco boútoros, “pungolatore di buoi”, i butteri che alcuni di noi hanno sulla pelle a memoria della varicella prendono il nome dall’arabo butur, “pustola”.

francesca-cacace4. Lacca
La lacca non è nata con la pratica di cotonarsi i capelli, ma con lo scopo di rivestire e proteggere oggetti dipinti di vario tipo, da quelli ornamentali alle imbarcazioni. Il termine arabo da cui deriva è lakk.

5. Materasso
Il termine non è nato per indicare il materasso come lo conosciamo noi oggi (quello che vende Mastrota, per intenderci), ma per designare il tappeto su cui ci si “buttava”. Matrah deriva, infatti, dalla radice del termine “gettare”, taraha.

6. Ragazzo
Il vocabolo da cui deriva il nostro “ragazzo” è raqqâs, che vuol dire “facchino, garzone”, ma anche “corriere, messaggero”.

7. Sherry
Questo pregiato vino spagnolo (da non confondere con il liquore inglese, lo Cherry Brandy) originariamente si chiama Jerez, o Xeres, dal nome della località di produzione, Jerez de la Frontera, un comune andaluso denominato dagli arabi Sherish.

8. Taccuino
Uno dei nostri incubi linguistici delle elementari (insieme a soqquadro) deriva dall’arabo taquim, usato per indicare un almanacco (altra parola che proviene dall’arabo, al-manàkh) o un calendario con una “disposizione ordinata” di giorni e date.

9. Tamarro
verdone-tamarroNon l’hanno inventato in un film di Verdone o in un programma di Maria De Filippi. Il tamarro è sempre esistito.
In lingua araba il tammar era il venditore di datteri, poi passato a indicare i mercanti di strada, vestiti in maniera volgare o eccentrica.

10. Trippa
Quanti nostri piatti regionali hanno come protagonista la trippa? Alcuni di voi avranno l’acquolina in bocca, altri arricceranno il naso, sappiate comunque che il termine proviene, molto probabilmente, dall’arabo tarb, cioè “omento”. E se, come me, non sapete cos’è l’omento, eccovi serviti.

Ma’a as-salama.

Pubblicato da Carmela Giglio

Cacciatrice di sinonimi, scalatrice di costrutti sintattici, esploratrice di ambiguità semantiche, con un'improvvida attrazione per tutto ciò che è visuale e visionario.